16 Aprile 2021

Canottieri Limite

Nella denominazione del comune, Capraia e Limite, risiede la storia di due centri urbani, separati dall’età anagrafica, dalle vicende storiche e dalle loro attività di sviluppo , ma accomunati da un elemento naturale, il fiume Arno, che ha condizionato con la sua presenza, gli indirizzi  sociali , economici delle due comunità. E se incuriosisce che si collochi nella dizione il nome di Capraia prima di quello di Limite , giustificandola con la gerarchia alfabetica,  nonostante che  la sede del comune risieda a Limite, non va dimenticato che la storia di Capraia è quella  più antica e che la sede comunale nel centro più giovane è una scelta relativamente recente, risalente al 1874, quando in data 23 settembre, con Regio Decreto, si autorizzava il consiglio comunale di Capraia e di Limite a tenere nella frazione di quest’ultimo le sue adunanze.

Il nome di Limite rimanda per coincidenza ad un confine e, davvero,  lo era questo borgo quando segnalava la delimitazione giurisdizionale tra le diocesi di Pistoia e quella di Firenze. Si aggiunga  a questo, l’altro confine, quello fisico, rappresentato dal fiume Arno, per lungo tempo via di navigazione  essenziale verso il mare, dove affluivano le marci delle scambi commerciali e dal quale provenivano i prodotti   della lavorazione e si capisce come soprattutto nella  prima fase storica medievale, il suo controllo rappresentasse uno degli obbiettivi  primari tra i potentati che si affacciavano sulle  sue rive,  oltre che  motivo di conflitto tra le  diocesi  contrapposte. Abbiamo visto come poco più a valle, alla confluenza del fiume Elsa nell’Arno, dove convergevano i confini  di quelle  di Volterra, Lucca e Firenze, si  si ripetessero  analoghi confronti.

Ma i due centri si prestano bene anche alla lettura di un altro aspetto importante: quello della evoluzione sociale ed economica di un territorio in rapporto all’incidenza degli avvenimenti che ne condizionano lo sviluppo. Così mentre a Capraia si è affermata la produzione delle stoviglie in presenza della materia prima, l’argilla, disponibile in buona quantità sulle rive del fiume oltre al  legname boschivo per cuocerla, a Limite ha prevalso  sebbene in tempi successivi , la fabbricazione di natanti adatti al trasporto fluviale di prodotti e materiali necessari al mercato e al lavoro di sostentamento delle famiglie. Mentre a Capraia, con la posizione del suo promontorio a picco sul fiume, si è accentuato il conflitto fra i confinanti delle rive opposte,  subendo nelle alterne vicende le ripercussioni di assedi e di presenze di truppe che hanno relegato la iniziativa privata dentro il confine delle mura, a Limite in un tempo già aperto alla   rinascenza, ha potuto/saputo  proiettarsi il sapere dei suoi artigiani verso orizzonti commerciali non più circoscritti al suo territorio, ma aperti ad una nuova visione della imprenditoria. I successi non solo economici ma di benessere sociale, hanno spinto la loro esperienza di lavoro in varie diramazioni,  maturando all’interno del mondo  cantieristico una coscienza sociale e politica che ha permesso ai singoli lavoratori  di trasformarsi in classe operaia.

 

Limite viene riportato per la prima volta in un  documento nell’anno 940 quando, all’interno di una donazione operata dal conte Guido Guidi a favore del Capitolo di Pistoia, figura un podere situato a Limite.  Notizie  successive rimandano all’anno 1100 quando la Pieve di San Lorenzo a Limite viene ricordata fra le 35 pievi dell’antichissima Diocesi di Pistoia. Dopo essere stato scalo fluviale nel feudo dei conti Guidi, Limite, piccolo borgo, passò al Comune di Pistoia e successivamente, nel XIV secolo, alla repubblica fiorentina. Così alle iniziali attività agricole, boschive e della pastorizia, si affiancarono altri mestieri artigiani, edili, di pescatori, di apicoltori e soprattutto di navicellai che con le loro imbarcazioni trasportavano granaglie, sale, legname, pelli, sabbia scendendo e risalendo il fiume con il sistema “ad alzaio”. Capraia è più antica di Limite e tra le epoche che separano le due comunità sono nate quelle frazioni che oggi sono comprese nello stesso Comune: Bibbiani, Pulignano, Castellina, Castra, Conio, Colle. Capraia apparteneva al feudo di un ramo degli Alberti di Mangona, anche se alla autorità di questo Signori si sovrapponeva anche quella di Pistoia, che dallo sprone del borgo poteva controllare sia la viabilità fluviale che quella strada tra Firenze e Pisa. Nel 1203 i fiorentini eressero il Castello di Montelupo, dopo averlo sottratto agli Alberti di Prato   con lo scopo, chiaro, di fronteggiare i pistoiesi e di sottrarre loro il controllo della navigabilità del fiume. Il Conte Guido Borgognonee era signore di Capraia quando nel 1204 fu costretto a sottomettersi ai fiorentini e , si racconta, con un  atto di vassallaggio assai gravoso. Le lotte fra fiorentini e pistoiesi  si protrassero nel tempo, aggravate dalle dispute tra Guelfi e Ghibellini, con ripercussioni sulla vita e sulla economia degli abitanti, di contadini e artigiani. Nel 1249 i Guelfi riuscirono a battere un corpo di soldati tedeschi e rifugiarsi a Montevarchi. L’ira dei  Ghibellini non tardò a manifestarsi  e la vendetta fu aspra e incontenibile, tanto che decisero di sterminare la frazione rivale cominciando come prima azione proprio dai castelli di Capraia, Castra e Conio ove si erano rifugiate molte famiglie guelfe. Il castello di Capraia fu posto sotto assedio e l’operazione si protrasse  per la difficoltà degli eserciti  di penetrare  le sue mura. Pare  che in auto degli assedianti  sia intervenuto persino l’imperatore Federico II che aveva la sua sede di comando a Fucecchio. L’assedio fu condotto con forze imponenti e dette risultato positivo solo per il tradimento di un assediato.  Prigionieri dei ghibellini  caddero personaggi di rilievo come il conte Ridolfo di Capraia, Ranieri Buondelmonti, ed eminenti cavalieri fiorentini, compresi capitani guelfi assieme a distinti cittadini di Firenze. Viene riferito che i prigionieri, condotti in catene davanti all’imperatore venissero accecati e poi gettati in mare. Nel 1250 i Guelfi tornarono al potere con immaginabile sete di vendetta, ma, stranamente, per rivalsa si accontentarono di vendicarsi sull’antico  traditore del castello il quale finì lapidato a furor di popolo, con il cadavere straziato e lasciato in un fosso..  Le lotte fra pistoiesi e fiorentini continuarono nel tempo tra chi voleva conservare l’antico dominio in quelle terre e chi volevo assoggettarle. Anche coloro che affascinati dalla cultura della città di Firenze volevano consegnarsi alla stessa, dovettero ripiegare sulla loro decisione. Così gli abitanti di Castellina nel 1314 furono richiamati all’ordine e costretti a giurare  la lorofedeltà a Pistoia. Nel 1330 la rocca di Conio fu restituita ai pistoiesi, in cambio della assoluzione ai guelfi di Castra e di Conio.

Nel 1551 il borgo di Limite contava 136 abitanti, quello di Capraia 152. Capraia viveva di attività propria,basata sulla produzione delle stoviglie, non sentendo mai l’influenza di Limite, semmai quella della concorrente di Montelupo, dove era presente una fiorente produzione di ceramiche.. Il fiume è stato decisivo nel processo di sviluppo di Limite, trasformando nel corso nel tempo gli abitanti in piccoli gruppi di pescatori e renaioli, che con la loro attività creavano la sussistenza delle famiglie. Per un tratto di due chilometri il fiume che fronteggiava il paese,  scorreva senza correnti e con acque chiare e pescose. Mai nelle piene che si sono ripetute nei secoli, si solo lamentate alluvioni dannose ai  campi e alle case. Ciò anche  per la presenza di una sponda sicura sulla loro riva  che ha sempre mantenuto la spinta delle acque, profonde di  3-4 metri, nella fase di riposo.  Se  nelle inondazioni del 1333, del 1538, del 1758, del 1844, del 1966, qualche allagamento si è registrato nei terreni ciò è derivato non dall’Arno , ma dal fatto che i rii in adduzione  provenienti dal monte retrostante,  non erano più ricevuti dal fiume . .

 

All’interno di questi profili naturali favorevoli, fin dal 1600 andò formandosi a Limite una colonia di naviganti, di carpentieri, di calafati, di maestri d’ascia, di costruttori di imbarcazioni.  In un paese di circa 400 abitanti dove il picchiare continuo dei martelli per incalzare la stoppa nei comenti delle barche, segnava il ritmo dei lavori, una famiglia emerse sopra le altre divenendo nel tempo proprietaria di importanti cantieri. E dalla  dalla produzione di piccole barchette per la navigazione fluviale si passò gradualmente alla costruzione sugli scali a mare di bilancelle, di paranze, tartane, golette e brigantini, con una fama che andò via via a diffondersi oltre i confini regionali e nazionali.

I modesti cantieri locali s’ingrandirono attraverso ordinazioni sempre più importanti e impegnative,  adeguandosi ai cambiamenti  e alle situazioni, fino  a prendere ordinazioni dalla Marina Militare e  altri ministeri. Così  si costruirono barche a vapore, rimorchiatori, torpedinieri, yacht e a fianco dei carpentieri, in tempi più recenti, si sono formati piccoli nuclei di operai del ferro che poi sono diventati bravi meccanici e motoristi. Nel loro stretto rapporto con il fiume, nel 1796 i limitesi trasportarono, partendo da Livorno, la Madonna del Buon Consiglio. E dopo aver percorso in barca l’intero tragitto la consegnarono alla chiesa di San Lorenzo a Limite.

Nel 1858 il Granduca Leopoldo II che poi aiuterà Gaetano Picchiotti anche economicamente, volle assistere al varo di una goletta costruita nei cantieri di quest’ultimo.

Nel 1861 nacque a Limite la Società dei Canottieri che nel tempo porterà onore e gloria ai limitesi  per mezzo dei risultati acquisiti dai  i suoi atleti in tante acque di gara sparse  in Italia e in Europa (quello che oggi si verifica per i velisti di Auckland).

Ai Cantieri Picchiotti (1600 – 1944, si affiancarono altre famiglie cantieristiche: Cantiere Serafini (1830 – 1944) , Cantiere Arno, Cooperativa Carpentieri (1909 – 1922), Cantiere Cantinelli Cinotti ( 1910 – 1916), Cantiere Cantinelli (1916 – 1936), Cooperativa Artieri (1944 – 1956), Cantiere Salani (dal 1949), Cantiere Maggini Innocenti (1949 – 1960), Cantiere Porta a Mare ( dal 1955), Officina Navale BCS (dal 1955), Cantiere Cosca (dal 1958), Cantiere Maggini (dal 1960).

 

Le condizioni del fiume iniziarono a peggiorare nel 1955 tramite l’arrembaggio al suo  prezioso  materiale di sottofondo, per l’incombere esplosivo dell’attività edilizia e l’opera indiscriminata del dragaggio. Pare che a questa pesante opera di  sottrazione abbia concorso anche la realizzazione dell’ Auto strada del Sole. Il “porto” naturale di Limite, così come si era venuto a conformare per il deposito delle sabbie a valle del paese, perse  questa sua importante condizione, e con essa si perse  sia di navigabilità, sia la trasparenza delle acque, sia la pesca.  Il livello delle acque si abbassò  al punto da permettere il suo attraversamento a piedi nel periodo estivo Testimonianza diretta). Ma questa fu anche la causa che indusse al trasferimento diversi cantieri (Cantieri Navali Picchiotti a Viareggio, Cantiere di Porta a Mare a Pisa, Cooperativa Costruzioni navali a Ostia) nonché alla cessazione dell’attività per altri ( Cantieri Serafini), oppure a cambiare tipo di produzione (Cooperativa Artieri).

Il peggioramento delle acque dell’Arno incise negativamente anche sulla Società Canottieri Limite. Che persero la possibilità sia di  che di allenarsi nelle proprie acque  e perciò di gareggiare.

 

CANTIERE NAVALE PICCHIOTTI

La storia dei Cantieri Navali di Limite non può prescindere da quella della famiglia Picchiotti, il cui cognome pare rifarsi onomatopeicamente al picchiettio continuo e ritmato dei martelli che incalzavano la stoppa nei comenti delle barche. Il capostipite Domenico, meglio conosciuto come “Beco”, dette anche il nome alle sue barche che portano ancora il nome di becoline. Il successo di questa famiglia nel consolidarsi attraverso  generazioni di maestranze straordinarie che permesso espandersi dei cantieri e di posti di lavoro per tante famiglie, continuò a rinnovarsi nella  versatilità della produzione, che ha contaminato tutta la comunità limitese, inducendo alla imitazione altri imprenditori, alcuni dei quali arrivati al  fino al successo importante, altri, costretti a fermarsi per strada.

Per comprendere l’importanza assunta dalla produzione del Cantiere Picchiotti basta rileggere alcuni dati che i due fratelli  esposero alla Giuria della Esposizione Internazionale tenutasi a Milano nel 1906: “ si cominciò con le barche da fiume, buone per la rena o il pietrisco oppure a traghettare gente o trasportare anche merci di valore come il vino, l’olio, il grano e tutto ciò che sarebbe stato costoso trasportare allora con i carri e i cavalli lungo le strade difficili di quei tempi, quando la via più sicura era l’Arno navigabile da Firenze al mare”.

 

Le becoline, imbarcazioni a fondo piatto ed ampio, con la prua disegnata per vincere la corrente e i fianchi ben inclinati per mantenere la stabilità sulle onde, con il loro timone colorato erano barche che andavano sia a remi che a stanga, all’occorrenza anche a vela nonché trainabili dalla riva ma pure buone per essere ancorate alle funi dei traghetti, stese da riva a riva secondo un ingegnoso sistema con il quale i traghettatori sfruttavano la forza della corrente. L’arrivo della ferrovia comportò per la flottiglia limitese una situazione di grande crisi. Fu allora che Gaetano Picchiotti chiese udienza al Granduca prospettandogli che la chiusura dei cantieri poteva significare per i cento operai, la perdita del loro lavoro. Il Granduca, sensibile e lungimirante, anticipò i fondi perché si potesse iniziare la costruzione di bastimenti da mare, come difatti avvenne con la creazione di due bastimenti portati a Livorno con la prima piena e armati a vela. In seguito due velieri fecero sbarco e carico a Forte dei Marmi, con il quale attraversarono l’Atlantico arrivando a Buenos Aires e a Rio de Janeiro dove furono venduti carico e bastimento. Leopoldo II l’ 8 ottobre del 1858 sancì il successo dell’impresa concedendo il Diploma per merito industriale a Gaetano Picchiotti.

 

Nel 1800 circa fu iniziata la costruzione di qualche legno da mare ed in breve il nostro cantiere potè rivaleggiare con tutti quelli del suo genere, sia per la bontà della costruzione per l’equo prezzo al quale si possono fornire i bastimenti. Dal 1805 al 1875 troviamo che dal nostro Cantiere sortirono circa 200  bilancelle, tartane, golette e diversi brigantini tra i quali il massimo di 450 tonnellate di portata  e il minimo di 20 tonnellate. Dal 1875, epoca dalla quale la vela fu  addirittura sostituita col vapore e al legno fu sostituito il ferro, il cantiere si trovò mancante di lavoro e fu allora che fu incominciata la costruzione di battelli in genere e la Reale Marina dopo vari piccoli lavori affidatici nel 1902 affidò alla nostra ditta la costruzione di due barche torpediniere le prime che fossero costruite in Italia su disegni di Wite(…). Dal 1600 al 1800 furono costruite 300 barche per l’Arno; dal 1801 al 1875 furono costruiti n.200 bastimenti da mare da 15 e 45t; dal 1876 al 1885 furono costruiti n.67 fra barche e battelli a vapore; Dal 1886 al 1895 furono costruiti 232 fra barche di mogano e battelli in genere; Dal 1896 al 1905 furono costruiti n.734 fra barche di mogano, barche a vapore e battelli in genere. In questi ultimi tempi ci siamo dedicati anche alla costruzione di barche a motore, a benzina e ne abbiamo già costruite 12, delle quali uno yacht con motori da 100 cavalli per il conte Carlo Andrea Fabbricotti di Carrara. Dei battelli pieghevoli in tela dei quali più di 300 furono da noi costruiti per la R. Marina Italiana, ne siamo quasi gli unici costruttori in Italia”.

 

Anche l’Imperatore Bonaparte ricorrerà ai fratelli Picchiotti per i cantieri di Tolone e due di essi affrontarono anche questa avventura, a dimostrazione della loro intraprendenza imprenditoriale.  Dopo le disfatte del Bonaparte, i due fratelli rientrarono a Limite anche perché si iniziava a parlare della linea ferroviaria Firenze – Pisa – Livorno che avrebbe creato alla navigazione fluviale non poche  difficoltà.  Così, iniziarono a pensare ad altri tipi di imbarcazioni per il mare. Imbarcazioni di grandi dimensioni costruite a Limite e portate  via fiume a Pisa , durante le  fasi di piena. Contatti con la Liguria crearono nuove occasioni di lavoro, con commissioni che spinsero la fornitura della famiglia Picchiotti fino in Sud America dove, a Rio della Plata e Buenos Aires, conclusero un importante operazione commerciale.

 

Tra i pezzi pregiati usciti dai cantieri limitesi ricordiamo il Makaratea (1880), lEspresso (1902), primo yacht a motore costruito in Italia, la Espero (1905) per il conte Andrea Fabbricotti, la Liù per il maestro Giacomo Puccini, le torpediniere su disegno dell’Ingegner Brin, l’Argo (1910 -15), mentre per la Grande Guerra (1915 -1918) si costruirono anche velivoli usati al fronte, nonché i famosi M.A.S (motoscafi anti sommergibili) accompagnati dal detto d’annunziano “memento audere semper” (ricordati di osare sempre) legati alla beffa di Buccari dell’11 febbraio 1918, oltre i rimorchiatori per idrovolanti Savoia Marchetti, fino ad arrivare nel dopoguerra alle motovedette per la Guardia di Finanza. Durante la fase della ricostruzione post bellica furono anche ordinate 3 imbarcazioni dragamine dagli Stati Uniti – il Mitilo, il Granchio e il Gambero – poi regalati alla Marina Italiana, la Bella Venezia (1970).

I Cantieri Picchiotti lavorarono anche durante i periodi difficili della guerra, portando lontano nei mari del mondo la fama e l’arte di Limite nonostante il crollo finanziario americano del 1929,  superato attraverso la loro versatilità nei cantieri. Questo vuoi per la capacità delle maestranze, vuoi per le loro conoscenze con le alte gerarchie del regime fascista. Si aprirono nuovi fronti di lavoro, e crebbero gli operai arrivando  negli anni 1930-’35 fino a 400 unità.

La guerra accentuò le divisioni fra chi simpatizzava per il regime e chi vi si opponeva, e fu anche a causa di questo che finito il conflitto, i Picchiotti, ormai invisi alla popolazione per i loro  simpatie al regime, decisero di trasferire i loro cantieri a Viareggio. A Limite vi subentrò la Cooperativa Artieri, che rivolgerà l’attività verso un settore di produzione diverso.

La dimensione  ingombrante di questa famiglia con tutto il carico di gloria  secolare nonché dei traguardi produttivi, , fu per gli operai limitesi  una sorta di liberazione che, rilanciati nella loro iniziativa e nel loro orgoglio ripartirono con nuova enfasi, sospinti dall’ambizione di nuovi traguardi e dall’energia   che accompagnò la   di nuovi laboratori artigiani rivolti anche a settori attigui al cantiere navale, ma non più dediti alla produzione di barche considerata la scomparsa navigabilità del fiume e la difficoltà del trasporto via terra delle imbarcazioni, che ogni volta creava problemi sempre più seri al loro passaggio  in diversi punti critici del percorso, data  la presenza di alberi e di cavi  aerei.

E’ indubbio che i numeri di questa ampia produzione raccontano la storia di una dinastia imprenditoriale importante, che ha riversato sulla comunità di Limite, attraverso i propri indotti, benessere e condizionamento, al punto da farci porre la domanda se sia stato  il loro spirito imprenditoriale a produrre il loro successo, oppure questo gli sia derivato dalla qualità delle maestranze che  quel territorio aveva prodotto attraverso l’impegno, il sacrificio e la ricerca di soluzioni sempre più avanzate.

 

SOCIETA’ CANOTTIERI LIMITE

La storia della Canottieri Limite inizia quasi per caso nel 1860, quando un gruppo di operai segantini e carpentieri di questa comunità si era recata a lavorare alla costruzione di una draga sull’Arno presso la località le Sieci , sopra Firenze. In tale circostanza,  fu organizzata una regata di barchetti per la ricorrenza di una festa, alla quale parteciparono anche i limitesi. Questi,, riportando una brillante vittoria, ritornarono a Limite  accolti da un grande entusiasmo. Al punto  che di li a poco  fu deciso di costituire una associazione per organizzare regate nel tratto di fiume antistante il paese. Gli operai erano quasi tutti dei Cantieri Picchiotti, come lo stesso locale dove si prese ad allestire le barche apposite con le quali la domenica effettuare le gare. La passione si diffuse al punto che tutto l’empolese ne rimase interessato, considerata anche la presenza di tanti navicellai e renaioli. In tali circostanze si organizzò il Palio della Montata consistente nella consegna al vincitore, di una bandiera  affissa all’albero di una barca, che per primo l’avesse raggiunta da partenze equidistanti. Inizia da questo, un percorso di vittorie dei canottieri limitesi con riporti di aneddoti, tra i quali quello curioso del 1885  riferito alla regata di Santa Croce, quando un certo Damiano Bini ,vogatore sicuro della vittoria, portò con sé un piccione viaggiatore col quale annunciò ai limitesi la vittoria in tempo quasi reale. Al rientro i vincitori furono accolti con molti falò accesi  lungo le strade, che però i carabinieri non gradirono, generando con i loro arresti e loro condanne  proteste e tafferugli.

Il 12 maggio 1887 i canottieri vinsero a Firenze su equipaggi nazionali e regionali in occasione della festa per l’inaugurazione della facciata del Duomo, alla presenza dei reali Umberto e Margherita.

Nel 1890 seguì un’altra importante vittoria, sempre a Firenze, nelle gare per le imbarcazioni a sei remi. A seguito di questi risultati il marchese On. Carlo Ridolfi, presidente della Canottieri dal 1887, regalò alla stessa società una moderna imbarcazione inglese, con la quale i canottieri realizzano altre importanti vittorie. La guerra del 1915 -1918 interruppe le attività della Canottieri, che ripresero comunque per merito di un gruppo di giovani, che ricostruirono sede e imbarcazioni. Attraverso la donazione di un terreno da parte della famiglia Cinotti, degli aiuti del Comune e della Misericordia che agevolò la costruzione dei loro edifici, della Federazione italiana di Canottaggio che incoraggiò la realizzazione sul posto di due imbarcazioni, la Anna a due remi e la Nuccia a quattro remi,con le quali competere, nel 1922 si ricominciò a gareggiare, e furono di nuovo importanti vittorie a Firenze, Pisa e Livorno.

A Salò nel 1924 ci fu la prima vittoria di campionato nazionale, con il 2Jole e fu in questa circostanza che Gabriele D’Annunzio, presidente della giuria, si congratulò con i limitesi con la frase ormai famosa “Ai canottieri di Limite senza limiti prospero moto.”

Nel 1933 a Santa Margherita Ligure la Canottieri vinse il campionato italiano con un equipaggio misto per la versione a Otto.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’impianto era in rovina, con l’asportazione di coppe e materiali, le imbarcazioni distrutte e le murature bruciate. Furono anni difficili, con la volontà di ripartire in un confronto, anche impari, con società più attrezzate come Firenze e Livorno, anche per il poco tempo di possibile allenamento che i giovani potevano potevano dedicare agli stessi. Ma i limitesi non si arresero e rimane famoso il pianto di Pinoccolo (Giovanni Giacomelli) al campionato italiano del mare a Trieste quando, convinto di essere arrivato primo, fu invece dichiarato secondo seppure per una frazione di secondo. Nel 1961 con l’acquisto dei terreni si costituì in forma legale la Società Canottieri, anche in festeggiamento dei 100 anni dalla fondazione. Nel 1962 il Quattro con nella versione junior, vinse su tutti i campi di gara nazionali, compreso lo stesso campionato al Lago Patria, fino alla vittoria internazionale al pentagonale di Macon in Francia dove detto equipaggio, tutto limitese, vinse per l’Italia una splendida gara con un tempo straordinario dopo un serratissimo duello con la Germania Federale. Nel 1964 i limitesi rivincono il campionato italiano di Orbetello con il timoniere Saverio Cecchi mio futuro compagno di sport calcistico.

Nel 1969 nuova vittoria nella Coppa Caccialanza (campionato studenti medi) a La Spezia, oltre al campionato del mare a Cagliari in Doppio canoe. Nel 1970 il C.O.N.I premiò con la stella d’argento  al merito sportivo la Società Canottieri.

Nel 1971 venne a mancare il vicepresidente Dino Bini e nella notte fra il 16 e il 17 luglio vennero organizzate delle regate notturne con una affluenza di pubblico straripante sulle rive, a dimostrazione dell’attaccamento della comunità a questo sport.

Nel 1972 -74 il fiume era in pessime condizioni, e ciò rendeva difficile sia l’allenamento che la navigazione. In virtù di ciò fu deciso un trasferimento presso la Mollaia, sito poco più a monte di Limite. Nel 1975 la formazione del Quattro con junior viaggiò con ottimi risultati per metà campionato prima di perdere un componente che disunì la formazione e dunque invalidò il possibile risultato vincente.  Nel 1976 i limitesi tornarono di nuovi campioni d’Italia a Piediluco di Terni. Nel 1977 gli stessi risultano essere la migliore società di canottaggio toscana, per maggior punteggio in Coppa Montù. Il Quattro senza vinse due titoli nella categoria elitè (assoluti) e nella categoria senior, oltre a raggiungere la quarta e la terza voga ai campionati mondiali di Amsterdam. Nel 1978 si verificò l’evento tragico del 20 luglio quando Claudio Caverni, un giovane di 13 anni timoniere del Quattro con juniores, mentre stava remando su un K1 in plastica, vide rovesciarsi la sua imbarcazione e purtroppo annegò. Due atleti partecipano ai campionati mondiali di Copenhagen e grande risonanza nazionale acquista la vittoria nella Voga Longa di 32 km a Venezia con uno Jole a 8. Nel 1982 la Canottieri Limite realizzò lo straordinario risultato della vittoria ai campionati mondiali di Lucera.

 

Le culture potamiche non generano gli stessi risultati a parità di condizioni (un fiume un monte) perché la componente attiva che interviene nei processi di sviluppo attraverso le modificazioni che crea con il suo lavoro, si chiama uomo. A distanza di migliaia di chilometri e di tempo, in un luogo altrimenti sconosciuto ai più, si è riproposta una esperienza assimilabile a quella dei Fenici. Con la differenza che tale luogo si trova distante dal mare molti chilometri. Eppure, tutto questo non ha impedito ai suoi abitanti di cogliere l’occasione favorevole forse per necessità, o forse per intelligenza e trasformare questa iniziativa embrionale, magari singola, in una esperienza comunitaria, che ha coinvolto tutti i suoi nuclei familiari e li ha resi partecipi di questa impresa fino a non distinguere dove cominciano i meriti della iniziativa singola, di fronte alla convergenza del lavoro indispensabile che accomuna tutti nel raggiungimento di un obiettivo.

Questo intreccio quasi idilliaco di competenze che ha generato inevitabilmente ruoli e gerarchie nel lavoro, non ha potuto evitare allargandosi, di generare distanze, se non contrapposizioni, una volta raggiunto il rapporto tra datore di lavoro e subordinati, tra chi guidava e chi eseguiva, tra chi ordinava e chi doveva accettare e spesso subire. Questo è avvenuto anche a Limite, maturando le condizioni che poi hanno portato alcuni imprenditori a trasferire altrove i loro cantieri, ma ha anche generato la nascita di associazioni, movimenti sindacali, case del popolo, cooperative, società di mutuo soccorso, tutti organismi tesi ad accogliere le difficoltà del singolo e trasformarle in condivisione del gruppo.

Certo, la peggiorata condizione del fiume ha concorso in modo incidente sulla scelta degli imprenditori, ma può essere che anche la guerra insieme allo schieramento delle parti, rispetto al potere dominante, abbia mutato quel sano equilibrio ed allontanato il clima familiare che aveva accompagnato nei decenni e nei secoli la partecipazione comune all’impresa. Nonostante i trasferimenti, sul posto è rimasta la operosità dei suoi abitanti, mai arresi alle fasi avverse che ogni riodo storico mette in conto. Operosità e versatilità che si sono riversate sugli abitanti come nuova linfa sociale. Non sono più le becoline che percorrono il fiume, ma colonne di automobili che coniugano lo scambio giornaliero di lavoro e di residenza con i centri vicini. Una nuova scala comprensoriale regola i flussi del trasferimento quotidiano senza che questo debba snaturare la identità dei suoi abitanti.

In attesa di nuovi traguardi imprenditoriali e sportivi, il Museo Marinaro ci invita con la sua esposizione a ripercorrere la storia che ha reso possibile questi traguardi.

 

Vincenzo Mollica