6 Luglio 2021

Chiesa di san Pietro in mercato a Montespertoli

Dalle Storie (1048) di Rodolfo il Glabro, monaco cluniacense della Borgogna, il miglior testimone dell’anno Mille come lo definisce Georges Duby, apprendiamo che nel perimetro dell’attuale Toscana all’inizio del Trecento erano presenti 4.600 enti religiosi, documentati attraverso la “decima” che ognuno di essi  doveva pagare alla Santa Sede in rapporto alla propria ricchezza. Dobbiamo desumere, pertanto, che dall’inizio dell’XI secolo ai primi del XIII, furono costruite, ampliate o ricostruite oltre 4.500 chiese attraverso un fervore costruttivo che non ha pari in Occidente. Il tutto segnato da una rinascita economica generata, principalmente, da una accresciuta produttività dell’agricoltura oltre che da un incremento demografico e da una maggiore disponibilità di ricchezza  degli enti ecclesiastici derivata dall’intensificarsi delle donazioni.

La chiesa parrocchiale, nell’affrancarsi dei popoli dalla diretta dipendenza dei feudatari, diventava la loro principale autorità, rispondente sia ai bisogni del culto che a quelli delle assemblee cittadine radunate dalle campane per trattare le questioni di comune interesse. La pieve, del resto, indica la chiesa della plebe, cioè del popolo, dunque quella base di organizzazione minima dentro la quale i piccoli raggruppamenti gestivano le necessità solidali oltre che una migliore possibilità difensiva.

La Repubblica Fiorentina intravide la opportunità, in questo contesto, di un disegno politico militare superiore, organizzando e suddividendo il suo contado in 96 Pivieri armati, ognuno dei quali sottoposto ad un unico capo, disponibile a correre in difesa della Repubblica in caso di necessità.

Il patto di alleanza e fedeltà veniva consolidato attraverso un dono simbolico, consistente nella consegna annuale a Firenze, nel giorno di San Giovanni, di una certa quantità di ceri.

Il Piviere riuniva, secondo una preesistente circoscrizione ecclesiastica, diverse parrocchie affidando ad una chiesa matrice, dotata di fonte battesimale, il compito di rappresentanza.

Questa è la forma originaria dei Comuni rurali con la quale venne organizzato il primo contado fiorentino. Successivamente alcuni Pievani si raggrupparono, con il permesso della Repubblica, per formare le Leghe dei Popoli, o Podesterie, con a capo il Podestà munito delle funzioni di giudice e di curatore degli interessi economici e politici della Repubblica.

Tra le più antiche pievi del territorio valdelsano insieme a Sant’Appiano e a San Lazzaro a Lucardo, San Pietro in Mercato è stato non solo un centro religioso fra i più significativi per la comunità, ma anche quello più importante per l’assetto civile, amministrativo e politico in quanto chiesa matrice del Piviere dalla quale dipendevano ben 22 (26?) chiese suffraganee, oltre oratori e canoniche. In essa si riunì la prima Lega del Territorio di Montespertoli comprendente il Piviere di San Pietro e di San Pancrazio , denominata Lega di San Pietro dal momento che qui risiedeva il Podestà.  La Lega presentava un’insegna con le chiavi unite sopra il giglio ad indicare la dipendenza da Firenze, e sovrastate da una stella per indicare  l’autorità degli Alberti su questo territorio. Successivamente, verso la fine del Trecento, la Lega comunale di San Pietro in Mercato, elaborò propri statuti locali che furono promulgati in data  6 settembre 1398 a cura di Biagio di Paolo da Catignano, cittadino e notaro fiorentino. Questi Statuti stabilivano che il Potestà giurasse fedeltà alla legge della Lega e s’impegnasse ad amministrare la giustizia correttamente e che il Notaro certificasse la sua fede di parte guelfa. Alla fine del XIV secolo, poco più tardi la promulgazione degli Statuti locali, la  Lega  risultava composta  dai tre Pivieri di San Pietro in Mercato, San Pancrazio e Coeli Aula, costituendo una più ampia circoscrizione come abbiamo detto, con 96 parrocchie. Questo ordinamento, pur con le variazioni del 1527, del 1574 e con i decreti governativi del 1646 e 1682 del Granduca Ferdinando, si mantenne fino al 1774 anche se vide il Podestà rimanere l’effettivo capo dell’amministrazione comunale, stravolgendo di fatto lo spirito originario di rappresentante popolare,  sostituito da quello di rappresentante della volontà del Sovrano. A questa data, Pietro  Leopoldo restituì alle rappresentanze comunali la loro antica autorità, attraverso l’elezione di 5 Residenti e 20 Deputati del Popolo. Con questi ordinamenti si arrivò fino alla caduta del Governo Granducale  del 1859, traendo da essi la struttura dell’ordinamento comunale moderno.

San Pietro in Mercato fu il primo capoluogo del territorio di Montespertoli. Un documento del 1108  testimonia che vicino alla Pieve si tenesse periodicamente un importante appuntamento mercatale, sostenuto  dalla presenza di un castello e  alcune case vicine. Il castello doveva far parte della Corte Imperiale, secondo il diploma di Carlo Magno, che lo assegna all’Abbazia di Nonantola la quale ebbe per certo il patronato sulla chiesa fino al XIII secolo. La data della consacrazione dell’edificio è il 1057,  ma alcuni documenti del 1008 e del 1046, attestano una presenza sul luogo che ne anticipa la data facendola risalire a data precedente l’anno Mille, anche se riedificata nell’XI secolo. Non si hanno notizie del castello, ma la presenza della torre campanaria, più somigliante ad una torre castellana, potrebbero farci supporre una sua appartenenza alla cinta muraria.

Prima di passare al vescovado fiorentino, al quale il Piviere di san Pietro in Mercato dovette versare fino al 1500 venti soldi all’anno, la proprietà apparteneva ad un certo Guglielmo del fu Tebaldo, magnate fiorentino e signore di Lucignano e San Pancrazio. Nel XIII secolo la proprietà del castello e delle terre intorno è pervenuta alla famiglia Machiavelli da parte di quella dei Frescobaldi e il Pievano Baldassarre di Pietro Machiavelli ampliò la proprietà, acquistando altre terre ed altri edifici. In decenni successivi la giurisdizione del patronato passò al Governo Granducale. Le lotte fra Guelfi e Ghibellini non risparmiarono questi luoghi dalle scorribande in conflitto. Nel 1325 Castruccio Castracani, dopo la vittoria di Altopascio, invase e devastò queste località, lasciando i segni del suo passaggio soprattutto nei borghi di S.Andrea alle Corgnola, San Michele a Mogliano e Gigliola, ottenendo anche tre ostaggi dal Popolo di San Pietro al Mercato ed uno da Montespertoli.

Durante la seconda metà del XIV secolo, al Piviere di San Pietro in Mercato e di san Pancrazio, si unì quella di Coeli Aula, venendosi a costituire una più ampia circoscrizione comprendente ben 52 parrocchie.

Nel XV secolo il mercato e la Podesteria furono trasferite nella piazza di Montespertoli per un più comodo servizio alle attività  commerciali che la presenza della  via Volterrana rappresentava.  L’allontanamento dai circuiti commerciali ma, soprattutto, lo spostamento della Podesteria hanno avviato un processo di decadimento lasciando la Pieve in compagnia della canonica e del suo passato glorioso.

Caratteri della costruzione

La chiesa citata in documenti che la fanno risalire a prima dell’anno Mille, venne edificata nel fervore edilizio dell’XI secolo, in stile romanico e consacrata nell’anno 1057. Il suo impianto  pilastrato a base rettangolare in sostituzione delle colonne, ricalca la forma basilicale e, per i caratteri di austerità e semplicità, richiama la chiesa fiorentina di Santa Reparata, proponendosi fra gli edifici romanici più antichi del territorio. La novità dei pilastri, severi nella dimensione e nella forma, deriva dall’architettura lombarda venutasi a diffondere in Toscana attraverso la presenza di queste maestranze che lasciarono tracce nell’architrave della Pieve di San Giovanni Battista a Monterappoli. Nella prima metà del Cinquecento la Pieve fu sottoposta ad un pesante intervento di restauro, incentivato se non promosso dal Pievano Baldassarre Machiavelli che alterò profondamente i caratteri romanici della struttura. Convinto evidentemente della bontà della sua operazione, volle sottolinearne il passaggio donando in seguito alla Pieve tutta la sua cospicua dote. Una ulteriore opera di restauro, radicale nella portata, fu quella praticata nella seconda metà dell’Ottocento che ne ha rimaneggiato tutto l’interno, rimuovendo la leggibilità del carattere romanico che le apparteneva. Dell’edificio originario rimane la struttura portante che ne conferma la datazione riferibile alla metà dell’XI secolo e che la differenzia, nella singolarità delle quattro campate diseguali, da quegli edifici realizzati già in pieno XII secolo.

La massa muraria e la ristrettezza delle navate accentuano la spinta verticale dell’edificio, con rimandi al senso ascensionale riscontrabile nella Pieve di San Lazzaro a Lucardo. L’edifico appare all’esterno completamente intonacato, ad eccezione della facciata riproposta, con inspiegabile motivazione, attraverso un falso palese che nella dicromia dei materiali vuole riprendere i celebri esemplari fiorentini del Battistero e di San Miniato, oltre che della vicina Collegiata di Empoli.

Tra gli elementi esterni di lettura medievale figura la massiccia e alta torre campanaria, quadrata e con una composizione muraria a bozze di arenaria grigia disposte in modo abbastanza regolare. Sebbene restaurata nella parte superiore con l’intonacatura delle facce e la creazione di merlature finte, la sua presenza non esclude il suo originario carattere difensivo. Adiacente alla Pieve è la importante canonica che oggi racchiude il Museo di Arte Sacra, ricco di importanti opere pervenute anche dalle chiese circostanti. Sulla sua facciata di ingresso figura, in alto a destra rispetto al portone, sopra il quale sono affissi l’arme della famiglia Machiavelli oltre a quella dei Capitani di parte Guelfa, una piccola bifora riferita al XIII secolo della quale si ignora la originaria collocazione. Alla domanda circa la ubicazione del mercato che si è aggiunto al nome della Pieve, la risposta pare rimandare alle arcare cieche aderente la Pieve sul lato sud e che fiancheggiano l’attuale accesso al Museo.

Nella navata sinistra entrando, figura un fonte battesimale esagonale di notevole pregio, risalente al XIII secolo, con specchi in marmo bianco di Carrara e intarsi in verde di Prato diversi su ogni faccia dell’esagono. Lo schema è quello del romanico fiorentino che nella raffinatezza esecutiva, rimanda ad una marcata classicità. Nel vano di accesso alle scale che conducono alla torre campanaria, figura una formella, pure essa intarsiata con composizioni geometriche di marmo verde su fondo bianco, senza però in questo caso rilievi plastici. Si presume che tale elemento decorativo potesse far parte di un recinto presbiteriale.

Ricco di belle e importanti opere pittoriche e scultoree, parati e argenterie provenienti anche dal Piviere di San Pancrazio e di Coeli Aula, il Museo di arte Sacra ospita, fra le opere più importanti nelle quattro sale:

  • tavole di Neri di Bicci (Madonna col Bambino tra i Santi Antonio Abate e Giuliano) proveniente dalla chiesa di San Michele a Mogliano;
  • tavola cinquecentesca di ignoto maestro eclettico di Madonna con Bambino fra i Santi Pietro e Paolo con raffigurato il committente (il Pievano Machiavelli);
  • bassorilievo in terracotta invetriata di Girolamo Della Robbia raffigurante San Girolamo nel deserto, opera con la quale l’autore sperimenta la policromia delle tinte, uscendo dalla matrice usuale della bottega;
  • trittico di Cenni di Francesco con Madonna tra i Santi Lucia e Giusto;
  • Madonna con Bambino, frammento di un polittico della cerchia di Andrea di Giusto;
  • piccola tavola trecentesca di Madonna con Bambino di Lippo di Benivieni;
  • argenterie di grande pregio provenienti dalla chiesa di San Lorenzo, patronata dalla famiglia Acciaioli ( raro gemellion, coppia di piatti usati per la lavanda delle mani di manifattura limosina del XIII secolo);
  • un calice quattrocentesco;

Nella seconda sala, arredata con opere provenienti da Santa Maria a Torre, figurano pitture del Seicento fiorentino (di Domenico Frilli Croci, Francesco Lupicini, della bottega del Curradi) e del Settecento con una Adorazione del Bambino di Niccolò Bambini.

Nella terza sala dedicata alle opere provenienti da Coeli Aula e San Pancrazio, è esposto un piccolo fonte battesimale del XII secolo proveniente da Santo Stefano a Lucignano. L’osservazione delle sue superfici, ci porta a considerare che potesse essere incastonato per metà nella muratura.

L’opera più preziosa in questa sala è la Madonna con Bambino (1445 – 1450) proveniente dalla chiesa di Sant’Andrea a Botinaccio, attribuita a Filippo Lippi. E’ una madonna malinconica e dolce, pare commissionata al pittore dalla famiglia Frescobaldi. Sono presenti anche una Flagellazione di Cristo e una Gloria di Sant’Andrea di Domenico Pugliani, pittore minore del Seicento fiorentino.

La quarta sala è destinata alla presenza di parati e  materiale cartaceo.