2 Aprile 2021

Il castello di Vinci

Nessuna delle fabbriche edilizie (chiesa, castello, palazzo) che ci proviene dal passato ci appare per come è stata pensata e realizzata originariamente. Ciò per l’ovvia ragione che la loro storia interferisce inevitabilmente con i fatti degli uomini nelle azioni di trasformazione funzionale, di distruzione per sostituzione e recupero. Quello che vediamo oggi del castello di Vinci è ciò che rimane dell’originario impianto dei conti Guidi, alterato prima dai fiorentini quando, dopo esserne entrati in possesso, vollero migliorare il suo stato di difesa (1366) e in tempi più vicini a noi quando, ritornato nelle mani del Comune, la Soprintendenza intese restituirgli, attraverso il proprio intervento e la propria visione, le sembianze medievali delle origini rimuovendo stratificazioni precedenti. Ciò aprirebbe una interessante discussione sul merito di queste scelte operative che hanno visto nel tempo alternarsi metodologie di intervento, ora intese alla sostituzione con operazioni che riproducessero, in finto, l’originario profilo, ora con il proposito di evidenziare il passaggio del restauro con la introduzione di elementi diversi e segnaletici (Eretteo di Atene).

Il percorso in merito non è unidirezionale. Si pensi solo a cosa non comporta in proposito l’adeguamento degli spazi alle normative di sicurezza e di accessibilità per le categorie di persone fragili. E’ evidente il divario di esigenze tra la necessità del recupero del profilo del castello medievale e il livellamento dei piazzali di accesso alle manifestazioni e agli spettacoli dei giorni nostri, rispetto alle conformazioni originali delle ripe, o come le vediamo nelle più antiche rappresentazioni (veduta a volo d’uccello di Leonardo – collezione Windsor Castle RLW12685) e ciò anche per quanto attiene a modificazioni planimetriche, volumetriche e di prospetto.

Ci inoltreremmo in una discussione senza risposte assolute, dato che ogni epoca ha inteso corretto operare secondo i propri criteri contestuali.

I primi documenti che fanno riferimento al castello risalgono al 1114, quando il conte Guido V lo cita in una permuta con l’Abate del monastero di San Salvatore di Fucecchio, trovandosi nel castello di Colle di Petra insieme alla moglie Imilia. Permuta nella quale si rammenta il castello di Vincio con la sua curtis e tutte le sue pertinenze. Questo dimostra che a quel tempo Vinci era già un insediamento fortificato appartenente alla importante famiglia comitale (castellum et curtem de Vincio cum omini sua pertinentia). Un altro documento del 1164 (diploma Imperiale) conferma il possesso guidingo in partibus Greti  che comprende il castello di Colle de Petra, Cerretum, Musilianum, Collegunculi, Orbignano, Vinci e Larcanum.

Quello che però ci descrive la consistenza delle diverse strutture del castello è l’atto di cessione dei beni e dei relativi diritti giurisdizionali che i Conti Guidi esercitavano nell’area valdarnese, passati  dal  1273 al Comune di Firenze.

Il castello guidingo comprendeva due corpi: la torre e il palazzo signorile. Lo spessore murario  della torre (2,5metri) e l’assenza quasi totale di aperture nel suo elevato sottolinea, oltre alla notevole altezza (28 metri, 35 presunti) la prevalente funzione difensiva della struttura, coronata da merlature e apparati difensivi a sporgere, realizzati in legno. Il palazzo si componeva di due piani: quello terreno destinato al corpo di guardia e quello superiore destinato alla residenza del conte. Può essere che  la torre e il palazzo fossero circondati da mura merlate con all’interno vuoti liberi per l’esercizio degli armati, e lo sgambamento dei cavalli. Il complesso fortificato aveva forma quasi quadrata (cassero) con lato di 22 metri e al centro la torre con lato di 7 metri.

Il frazionarsi della casata dei Guidi nel XIII secolo a causa di eredità e situazioni debitorie, rappresentò per Firenze un’attesa occasione per spingere, fin dal 1255, il presidio del proprio contado fino ai confini occidentali con i territori di Pisa e di Lucca. Il controllo della idrovia, con la possibilità dello sbarco a mare delle proprie merci e dello scambio commerciale con le città marinare, rappresentava un interesse primario per il proprio sviluppo territoriale interno e delle  mire espansive nella direzione costiera.

Se i castelli del Montalbano erano rimasti fedeli a Lucca fino al 13291331, Vinci, Cerreto ed Empoli costituivano per Firenze un sistema nevralgico di controllo fluviale e di approdo mercantile, essenziale alle strategie di previsione.

Alla fine del 1343 si chiudeva una lunga stagione di conflitti con Lucca (scorrerie di Castruccio Castracani) che sanciva l’acquisizione fiorentina delle aree più orientali del territorio lucchese. E  per consolidare tale posizione, nel 1366 Firenze avviò un esame approfondito delle strutture castellane, volto a migliorare il loro stato difensivo. Vinci divenne sede del Podestà dieci anni dopo (1376), ed a questa figura venne affidato il compito di amministrare la giustizia civile (perseguire i malfattori, punire i reati, risolvere le cause civili, sorvegliare l’ordine pubblico, controllare lo stato delle fortificazioni). Nel 1415 fu istituito il Vicariato della Valdelsa con sede a Certaldo ed estensione fino a Poggibonsi, che raggruppava al suo interno anche la podesteria di Vinci. La riorganizzazione di vicariati e podesterie nel 1424, volta a ridurre il numero degli ufficiali pubblici, (voce evidentemente pesante nel bilancio comunale) indusse a fondere la podesteria di Vinci con quella di Cerreto. Così dal 1475 si ottenne che l’ufficiale mandato da Firenze risiedesse in modo alternativo sei mesi nel  comune di Cerreto  e sei mesi in quello di Vinci.  Quest’ultima rimase centro organizzatore fino al XVI secolo,  quando la famiglia Medici spostò su Cerreto il proprio interesse con la edificazione della propria villa residenziale. Nel documento dei Capitani di Parte Guelfa del 15801595,  l’impianto del castello vinciano si legge in tutte le sue componenti:  le mura, la chiesa, le vie di accesso, oltre le case del borgo e la piazza pubblica con il pozzo e la loggia, dove convenivano le popolazioni per effettuare le loro transazioni commerciali. Sulla torre era posta la campana che serviva a radunare a parlamento i cittadini, oppure ad annunziare la chiusura delle porte d’accesso con l’arrivo della sera.

La rocca, trasformata in palazzo del Podestà rimase in proprietà del Comune di Cerreto fino alla fine del XVIII secolo, quando prese ad essere ceduta ai privati sia in proprietà che per livelli (forme di affitto perpetuo) subendo nel giro di pochi anni rilevanti danni per manomissioni abusive. Venuta a cadere la funzione difensiva del castello, nel corso dei secoli XV e XVI, le mura divennero parete di accorpamento delle abitazioni che vi si addossarono in sequenza, trasformando lineamenti e carattere delle stesse . Del resto l’attenzione del borgo si spostò fuori le mura, dove lo sviluppo degli interessi commerciali richiedeva una diversa libertà di superficie. Tutto ciò non giovò alla causa del palazzo che anzi si trasformò per il comune di Cerreto in una sorta di carico economico per lo stato di  mantenimento. Ciò produsse l’ avvio verso la sua trascuratezza se non il suo abbandono.

La residenza alternata del Podestà tra i due comuni durò per circa tre secoli, fino a quando con la riforma dei tribunali provinciali attuata dal Granduca Pietro Leopoldo nel 1772,  Cerreto Guidi divenne unica sede podestarile e Vinci soltanto banco giudiziario. Nel 1774 poi, il comune perse anche tale qualifica ed il suo territorio fu annesso sic et simpliciter a quello di Cerreto Guidi. Per Vinci e per il suo castello quello fu un anno cruciale, visto che Cerreto decise di alienarlo ritenendolo eccessivamente oneroso e poco utile. L’edificio che versava in pessimo stato,  venne di  fatto progressivamente ceduto a famiglie private  tra il 1778 e il 1803,   sia  in forma di vendita vera e propria  che in affitto con la formula dei livelli. Da queste trattative rimase esclusa solamente  la torre.

Nel 1809 Vinci si ricostituì come Comune, senza avere però le risorse di intervenire sulla rocca, nei confronti della quale effettuò solo modesti interventi di manutenzione. Si arrivò così a poco prima della unità d’Italia quando per Vinci si presentò la necessità di una sede comunale, di una scuola, di una sede per la guardia nazionale. Nel 1858 il Gonfaloniere Raffaele Colzi, indispettito dalla operazione di vendita del palazzo pretorio promossa dal Comune di Cerreto, segnalò l’esigenza dell’acquisto dei livelli e del restauro dell’edificio, sollevando però non poche discussioni, data l’ingente somma occorrente per affrontare le operazioni. Al recupero dei livelli  si provvide nel 1861, rimandando la data del restauro. Nel 1862 il comune si dotò di un nuovo stemma e il passaggio rese più evidente la necessità della sede mancante. Sulla base di ciò e della difficoltà di reperire le risorse necessarie per trasferire la sede nel palazzo del castello, maturò l’idea di alienare l’immobile mettendolo all’asta.

Così nel 1867 la rocca fu esposta all’incanto sulla base di una cifra di 4.003 Lire, dedotta dalla perizia  dell’ingegnere comunale. L’asta però andò deserta e il comune si trovò quasi costretto ad accettare un prezzo assai più basso (2.800 Lire) offerto dal conte Piero Masetti da Bagnano. Nei confronti di questo ribasso furono sollevate anche delle riserve legali,  ma di fronte alla proposta di impegno del Masetti di restaurare il castello, si decide di procedere. Il conte, però , affrontò come  unico intervento  sul castello quello della  realizzazione di un barbacane in un  angolo del perimetro murario, rivolto più a riaffittare gli ambienti del palazzo a famiglie private. Fu il Comune che nel 1880 dovette provvedere alla sistemazione dell’impiantito e del parapetto della torre.

Forse spinto dalla portata dell’impegno economico, nell’approssimarsi la data delle celebrazioni per il  quarto centenario della morte di Leonardo (1452- 1519), nel 1919 il conte Masetti decise di regalare il castello al Comune. Il quale Comune si trovò ancora una volta davanti l’immane problema di come reperire  delle risorse economiche per restaurare il complesso fortificato, nonostante il bel progetto dell’architetto Alessandro Orlandini redatto per il suo recupero. Pur con le celebrazioni in atto, si arrivò al 1929 senza che ancora si fossero avviati i lavori di ripristino.  Attraverso il contributo di Lire 20.000 di Alessandro Martelli, presidente della Camera di Commercio di Firenze nonché ministro del governo Mussolini,  si avviarono una serie di importanti  lavori alle ripe  e alla torre,  installando  un  nuovo grande orologio luminoso a sostituzione di quello meccanico del 1819.

u solo nel 1934 che il commissario prefettizio di Vinci, rispolverando l’orgoglio dei festeggiamenti del genio, chiede al capo del Governo di istituire una tombola nazionale per il finanziamento dei lavori del castello. Passano ancora cinque anni e nel  1939 si dà inizio alla serie sistematica dei lavori che interessano le strade del Comune, le vie di accesso alla casa natale di Leonardo ad Anchiano, nonché alle sale del palazzo Pretorio e del piazzale antistante. Nel 1940 attraverso la donazione importante del conte Rasini di Castel del Campo, nonché di Renzo Chianchi e Alessandro Martelli, iniziano i lavori di restauro nel rispetto di alcuni criteri estetici.

I rilievi dell’architetto Piero Sanpaolesi, del 1939, ci raccontano lo stato puntuale  del castello  a seguito dei restauri del 1929 in ambito celebrazioni, ma sono quelli eseguiti dalla Soprintendenza  nel 1939-’42 e completati negli anni Cinquanta, tesi a ricomporre l’immagine  del castello medievale , che  ci hanno consegnato la sua immagine attuale.

 

Vincenzo Mollica