5 Marzo 2021

Il Santuario di Santa Verdiana

Possiamo inquadrare la storia del santuario in tre periodi distinti: il primo, che assegna all’edificio l’impianto basilicale (1252) e lo conduce alla sua ultimazione (1422); il secondo, in fase rinascimentale, che vede manifesto l’interesse per l’edificio di famiglie importanti, quali i Medici, e attraverso  modifiche e ampliamenti, si prolunga a tutto il Seicento,  introducendo la chiesa  alla scena barocca; la terza, quella dal Settecento ai giorni nostri, che completa l’assetto definitivo del santuario, definendolo come esempio infrequente  di barocco toscano in territorio aperto.

Di Verdiana conosciamo il tempo nel quale è vissuta, ma non esattamente le date di nascita(11721182 ) e di morte ( 1236-1242). Il periodo è quello nel quale gli abitanti del castello, in feudo agli Alberti, si schierarono con Firenze (guelfa), nel convegno tenutosi nella Pieve di S.Ippolito ( 1197). Questa alleanza gioverà alla causa del santuario, potendo fare affidamento sugli aiuti e il patronato di famiglie importanti.

L’edificio sacro di oggi è il risultato di molti interventi, praticati in modo continuo  durante epoche diverse e iniziato con l’affiancamento della piccola cella di Verdiana all’oratorio di Sant’Antonio Abate, presente, probabilmente, dal XII secolo. La giovane donna, al rientro da un pellegrinaggio a Santiago de Compostela, decide di esprimere la sua vocazione penitenziale, facendosi “murare” in una cella di soli sei metri quadri, collegata con l’esterno  attraverso una sola  finestrella. Vi trascorse in totale isolamento, ben 34 anni, fino alla morte. La cella, tutt’ora conservata, si trovava a quel tempo ad una quota assai inferiore rispetto a quella  del terreno attuale  ed è compatibile, considerata la vicinanza del fiume, la presenza di serpi d’acqua  che figurano nella sua effige, quali simboli penitenziali di redenzione.

Alla venerazione di Sant’Antonio, protettore della peste e di altre malattie contagiose, si aggiunse, così, quella di Verdiana che alla sua morte indusse gli abitanti a dedicarle una chiesa nella quale trovasse anche sepoltura. Il piano di posa venne sopraelevato anche in virtù dei riporti alluvionali e l’impianto partì subito ambizioso, sviluppandosi su tre navate, con taglio basilicale. E’ l’anno 1255 e il borgo si era ripopolato di traffici e di mestieri, dopo lo spopolamento tardo imperiale, anche per la presenza del tracciato a valle della via Francigena. I lavori della chiesa si protrassero per quasi cento anni, aggiungendo in questo lasso un porticato a meridione, dove figurava anche una casa torre, recuperata  in tempi successivi per funzioni religiose di collegamento. Nel 1422, anno di vista pastorale, la chiesa fu trovata pronta.

Interventi significativi accompagnarono l’edificio durante la fase rinascimentale. La donazione di una reliquia della santa (un braccio)  alla chiesa omonima di Firenze  da parte di Soldo di Giovanni di Soldo, pievano di Castelfiorentino appartenente alla nobile famiglia fiorentina dei de’ Rossi, avviò un percorso relazionale importante e fruttuoso per la chiesa, perché il reliquiario contenente la donazione venne commissionato da Giovanni de Medici, figlio di Cosimo il Vecchio. Con ciò,  si avviarono anche una serie d’interventi sulla chiesa, che interessarono sia la struttura dell’edificio (ampliamento della tribuna), sia l’aspetto ornamentale (coro, altari). Fino a pensare che tali opere di decoro e abbellimento, abbiano coinvolto nelle operazioni, persino Lorenzo il Magnifico. Le famiglie de’ Rossi e Attivanti diventarono protagoniste attive di tali apporti e questo ci induce a credere che Verdiana dovesse appartenere ad un ramo di questi ultimi, vista la consistenza e la persistenza degli interventi (rifacimento della copertura nel 1505, realizzazione del portico d’ingresso, restauri ed ampliamenti interni). Il 1533 è l’anno della canonizzazione della santa da parte di Clemente VII, Papa Medici.

Nel 1576, assunta la chiesa l’importanza di santuario, fu creata l’Opera, destinata a curare i lavori  di manutenzione e di miglioramento dell’edificio religioso. Si susseguirono una serie  di lavori   ad  intervalli stretti (costruzione dell’altare maggiore, portico settentrionale, pavimentazione del loggiato anteriore, ristrutturazione di altari, ricostruzione della sacrestia), destinati ognuno ad esaltare agli occhi della comunità, l’immagine interna ed esterna del santuario, divenuto polo centrale di riferimento urbano. Anche per tutto il Seicento fu un susseguirsi di lavori in parte necessari all’impianto, in parte occasione per la famiglia Attavanti di dimostrare la propria devozione ed il proprio prestigio. Nel  1635, dopo il risanamento dei danni arrecati dall’alluvione, la chiesa fu consacrata solennemente. Nel 1643 venne eretto un nuovo campanile, in aderenza alla sacrestia e un secondo portico a sud,  tra il 1646 e il 1648. Vari altari furono commissionati da nuove famiglie, succedute alle precedenti, e nel 1678 venne ampliata la sacrestia, ormai angusta per l’importanza del santuario. Si chiuse il secolo, con  il rifacimento (1684)  dell’altare maggiore, impostato su gradini alla romana.

Il Settecento segna l’inizio dei lavori che, interessando l’architettura interna ed esterna del santuario, lo condurranno alla configurazione attuale, attraverso un importante cantiere che si pone all’ombra del granducato mediceo e che vede il concorso di famosi architetti, “suggeriti” dalla corte. Su commissione principale dell’Opera, alla quale si unirono anche importanti famiglie nobili, Giovan Battista Foggini (1652- 1725), architetto e scultore di fama progettò, sull’impianto basilicale esistente, lo spazio dinamico e illusionistico dello stile tardo barocco, rivestendo le strutture degli archi e delle colonne con cornici, stucchi e decori, completato dalle plastiche scultoree del Ciceri e del Broccetti.  La navata centrale venne coperta con una volta a botte, quelle laterali con volte a vela. Sopra la tribuna venne demolita la volta esistente, sostituendola con una di forma ellittica, innalzata su un alto tamburo. Nel 1708 i quadraturisti Rinaldo Botti e Lorenzo del Moro, iniziarono il ciclo delle architetture prospettiche nelle volte e nelle cupole, durato otto anni. Giovanni Baratta (1670 – 1747), scultore carrarese e allievo di Foggini, realizzò un nuovo altare maggiore. Nel cantiere la direzione venne assunta da  Bernardino Ciurini, architetto e ingegnere, nativo di Castelfiorentino. Nel 1734, lo stesso Ciurini, venne chiamato per disegnare la piazza antistante  l’edificio e, a seguito della pesante esondazione del fiume del 1740,  a sostituire il pavimento della chiesa, opera  completata nel 1749.

Esauriti i lavori interni, si passò a quelli esterni nella seconda metà del secolo, affidando il progetto dei lavori della facciata ad un giovane Bernardo Fallani (1750-1805) architetto e ingegnere, principalmente attivo a Firenze. Il loggiato, a cinque grandi arcate e volte a vela,  estese la facciata fino a farle incorporare i portici laterali. In questo modo si venne a creare un prospetto armonioso e imponente attraverso l’inserimento, sopra la trabeazione dei portali, di un finestrone gigante in stile serliano, in asse con il fornice centrale che dilata lo slancio delle lesene. Con tale intervento termina, nel 1787, l’esperienza dell’Opera. Gli ulteriori lavori, avviati nel 1795, vedono intervenire la Comunità. Questa volta il cantiere viene affidato a Giuseppe Manetti (1761-1817), il quale chiude il loggiato a settentrione creando nuovi ambienti, ritenuti necessari alle funzioni della chiesa e nei quali successivamente andrà ad inserirsi la Compagnia dell’Assunta. Manetti progetta la costruzione di un nuovo campanile e la deviazione stradale per far posto alla sua costruzione, ma la esecuzione del  campanile sarà basato sul nuovo  progetto dell’ingegner Carlo Niccoli, nel 1805 e la deviazione sarà rimandata ad altro tempo.

Sono di Ignatius Miért le sculture in terracotta che nel 1810 coroneranno la trabeazione sopra il loggiato d’ingresso. Per la ricorrenza della festa della santa (1 febbraio), la piazza veniva perimetrata  con quinte teatrali in legno, gesso e tela, tese a convogliare l’attenzione della piazza verso lo spazio del fronte d’ingresso. Tale materiale, ingombrante nella sua dimensione, come si nota dalle foto d’epoca, trovò ricovero nel “casalone” trasformato in deposito (1824). Negli anni 1860, 1861 e 1881, Annibale Gatti, noto pittore fiorentino del periodo unitario, compose tre dipinti riguardanti momenti della vita di Verdiana, da apporre sopra la tribuna del coro.

Gli interventi del Novecento riguardano, l’ampio restauro degli affreschi della chiesa, oltre il consolidamento strutturale conseguente ai danni subiti dall’alluvione del 1966.

Nel 1972, fu ricavata in una porzione del loggiato nord, la Cappella delle Reliquie.

 

 

Vincenzo Mollica