12 Marzo 2021

La Villa Medicea di Cerreto Guidi

Eleonora di Toledo, figlia del Viceré di Napoli, (don Pietro di Toledo) e moglie di Cosimo I, ebbe 11 figli. Ai contadini servivano per la terra, ai nobili per allargare le loro famiglie. La potenza si manifestava, ovviamente, oltre che con le alleanze, anche attraverso i possedimenti terrieri, i palazzi e le ville, ubicate quasi sempre in posizioni strategiche e di controllo, se non a indicare una direzione espansiva del proprio disegno politico.

La Villa di Cerreto Guidi, come del resto molte delle ville medicee sparse nel territorio toscano, avevano questi presupposti, ancor prima di essere sedi di svago, di appuntamento stagionale, o di evasione nascosta per i giochi segreti. Erano indicatori di forza per gli avversari e strumenti di controllo per la produzione agricola con la quale si nutriva la villa, il palazzo, il mercato della città.

La presa in possesso da parte di Cosimo I di ciò che rimaneva  del castello dei Conti Guidi, era stata preceduta da altre manifestazioni d’interesse e soprattutto da una sequenza di avvenimenti che hanno segnato i tre secoli che separano il 1255, anno della consegna  della giurisdizione del castello al Comune di Firenze da parte del Conte Guido Novello e l’anno 1564, quando iniziano i lavori della villa. Furono tempi di lotte e di alleanze, tra città ed eserciti, di interessi contrapposti e tradimenti e, ogni volta, di scorrerie e saccheggi sui territori di battaglia le cui devastazioni ricadevano sulle  popolazioni che li abitavano.

Firenze ha avuto chiara fin dall’inizio, l’importanza dei castelli del Valdarno, quale strumento di presidio della navigazione fluviale e perciò, dello sbocco a mare per il trasporto delle proprie merci e del proprio commercio. Ma ciò ha comportato per la città una serie continua e impegnativa di lotte con Pisa e Lucca, per affermare il proprio primato.

Il 14 giugno 1314, Uguccione della Faggiola, condottiero di Pisa, saccheggiò Lucca, alleata di Firenze. Le successive vittorie di Uguccione interessarono anche Cerreto Guidi al punto che indussero  i suoi abitanti a schierarsi dalla sua parte. Per la restituzione di questo castello, Firenze fu costretta con la pace di Napoli del maggio 1317, a riammettere in città la famiglia Adimari.

Appena tre anni dopo, sulla scena si affacciò un altro giovane e valoroso condottiero: Castruccio Castracani che indusse Pisa a promuovere un nuovo attacco a Firenze. Di nuovo i territori del Valdarno vennero interessati da scorrerie e devastazioni. Nessuno riusciva a fermare questo esercito che conquistò Lucca, dove Castruccio venne accolto come Signore della città. Fu l’inverno a sospendere la sua avanzata  verso Firenze  e a indurla alla pace con Pisa nel trattato di Montopoli del 12 agosto 1329. Ma le lotte intestine che divoravano le città, riaprivano gli scontri in continuazione. Dopo Castruccio, ecco arrivare  a Lucca i Tedeschi col re di Boemia e la città pronta e schierarsi col nuovo occupante. Quando Firenze mandò Mastino della Scala  a riprendersi Lucca, il suo passaggio aggiunse danni e sofferenze a un territorio già martoriato da una spaventosa alluvione  che investì tutti i territori del Valdarno nell’anno 1333. Il terrore di Mastino cessò nel 1339, quando fatta la pace con Venezia, questa indusse Mastino a farla con Firenze.

Visto questo permanente imperversare di eserciti sui territori di sua giurisdizione, Firenze rispose positivamente alla richiesta del castello di Cerreto perché venissero fortificate le sue mura. La stessa attenzione fu rivolta al resto dei castelli circostanti e verso la fine del ‘300 molte guarnigioni erano state attrezzate per respingere eventuali attacchi.

Nel 1437 Cosimo il Vecchio si affacciò sulla scena fiorentina assumendo la signoria della città, in forza della sua potenza economica che si trasforma in disegno politico.

Nel 1494 i Medici vennero cacciati una prima volta da Firenze e sostituiti da un governo del popolo.

Nel 1512 riescirono a tornare a in città e riprendere il potere con i figli di Lorenzo il Magnifico, Giovanni ( Papa Leone X) e Giuliano.

Nel 1509 Pisa cadde a Firenze in modo definitivo.

Nel 1517 Papa Leone X ruppe con la Francia per allearsi con l’imperatore Carlo V, disposto a proteggere Firenze e la Santa Sede.

Morto Leone X, Clemente VII ( Giulio de Medici) cambiò alleato e decise di tornare coi Francesi. Seguì la violenta reazione di Carlo V che con un esercito di spagnoli, francesi e italiani, fece saccheggiare Roma. Clemente VII ritornò sui suoi passi ridiventando imperialista. Un modo anche perché i Medici potessero tornare al potere nel 1530.

Questi i fatti salienti che precedono la costruzione della villa, nell’anno 1565, su autorizzazione di Cosimo I. Ideatore della costruzione risulta essere Bernardo Buontalenti, a quel tempo architetto di casa Medici. E se pure non esistono documenti in merito firmati, possiamo desumere la sua paternità del complesso vuoi per il ruolo che rivestiva presso la corte, vuoi per essere un artista che  pur giovandosi della collaborazione di altri colleghi, voleva in ogni opera “lasciare” la sua firma. Ulteriore dimostrazione di tale paternità proviene dall’architettura del complesso, concepito come appartenenza ed emanazione naturale del terreno. Principio che rimanda a schemi progettuali impiegati al Forte di Belverdere e Pratolino. Lo provano ancora le note di un taccuino dell’architetto Parigi il Vecchio,  datato 1575, il quale scrive: “ l’ultima festa dello Ispirito Santo andaj chon messer Bernardo Buontalenti, a Cerreto e mi consegnjò j lavoro ed jo seguitai con 10 o 12 maestri.” La data conferma inoltre,  che i lavori furono eseguiti in più fasi: prima la villa e poi le grandi scale. Un’immagine aerea dimostra chiaramente come per la realizzazione delle stesse, si siano demolite un tratto delle mura, sia per far posto alle stesse sia per utilizzarne il materiale.

I lavori della villa furono diretti da Davitte Fortini (1515/1520? – 1594) che passò la direzione all’architetto Parigi per l’esecuzione delle rampe.

Villa severa e maestosa nel suo impianto, è concepita come un corpo compatto e simmetrico, regolare nelle forme e nei volumi. Dallo spazio di arrivo, un ampio salone chiuso a nord dalle scale, si aprono quattro stanze per lato comunicanti secondo lo stile dell’epoca. Identico lo sviluppo planimetrico del piano primo. I soffitti relativamente bassi, il giardino tergale oltre che il disegno delle rampe, concepito per essere accessibile anche ai cavalli, rimandano ad una possibile funzione militare. Il che  non esclude l’uso della costruzione quale sede per battute di caccia. Se Cosimo I fece costruire 30 km di muro per proteggere le sue bandite, vuol dire che tali riserve servivano ad alimentare non solo la passione per la caccia, ma anche il bisogno di selvaggina per la residenza urbana. La villa era anche punto di sosta intermedio per i viaggi di trasferimento a Livorno durante la fase estiva.

L’immagine della villa è stata segnata per il delitto che si consumò in una delle sue stanze il 15 luglio 1576, quando Isabella de Medici, figlia di Cosimo, venne uccisa dal marito Paolo Giordano I Orsini per motivi di infedeltà coniugale. La villa apparteneva a quel tempo a Giovanni de Medici, fratello di Isabella. Secondo voci malevole, pare che lo stesso abbia concorso a giustificare il delitto a salvaguardia del nome della casata.

Alla morte di Giovanni nel 1621, la villa passò al nipote don Lorenzo de Medici che, non avendo figli, la passò a sua volta a Cosimo II e da questi a Leopoldo de Medici, suo figlio, il quale propose una importante ristrutturazione al fine di renderla più signorile e residenziale. Morto Leopoldo, la villa finì nelle mani di Cosimo III e a distanza di breve tempo (1705 e 1728) vennero redatti due inventari, dai quali si possono desumere la presenza di importanti opere di Alessandro Allori, Matteo Rosselli, Andrea del Sarto, nonché arazzi eseguiti probabilmente da Giovanni Stradano.

A questo punto subentrarono i Lorena, che il 28 maggio 1780 la vendettero al signor Tonini. Questi a sua volta  la cedette alla famiglia Maggi di Livorno nel 1821, che la detennero fino al 1885 quando madonna Dotti, vedova Filicaja la regalò al genero Giovanni Geddes, il quale curò l’arredo inserendo all’interno della villa un affresco di Giovanni Focardi. Geddes la vendette all’antiquario fiorentino Galliano Boldrini che dopo qualche anno la consegnò allo Stato con la condizione di farne l’attuale museo della caccia e del territorio.