Padule di Fucecchio
La partita dell’uomo con la natura è antica quanto la legge della sopravvivenza. La trasformazione del paesaggio tesa al recupero delle risorse in esso presenti e necessarie al suo vivere, lo hanno accompagnato fino alla creazione di veri e propri monumenti naturali. Tutto fino a quando tale utilizzo non si è trasformato in saccheggio. L’uomo infatti ha dovuto imparare (?) a sue spese che esiste un limite allo sfruttamento oltre il quale si crea la rottura dell’equilibrio iniziale la cui ricomposizione implica un impiego di risorse quasi sempre superiori ai benefici ricavati in partenza. Senza contare i danni che possono arrecarsi alla salute della collettività e dell’ambiente. Ovvio che più le trasformazioni avvengono a vasta scala, maggiori sono le implicazioni (positive o negative) sul territorio e sull’ambiente. La Toscana da questo punto di vista è un esempio straordinario di cosa può fare la mente e la mano dell’uomo quando l’approccio con il territorio è virtuoso.
Ma se il rapporto tra l’uomo e la natura è difficile, quello della convivenza fra essere umani è molto spesso conflittuale. Non necessariamente per principio volontario ma per semplice contrapposizione di interessi.
Le mie visite al Padule di Fucecchio si sono sempre risolte con la caccia all’immagine fotografica da aggiungere al paniere dello stupore, di fronte alla scoperta di un riflesso inedito, di un barchino che si è arreso al tempo, ai filari di pioppi che si perdono nel punto di fuga mentre il sole si siede dietro le colline. Poi, per le combinazioni che si creano tra gli elementi e tra gli uomini, cominci a scoprire che il Padule è tante altre cose, molte più cose: un mondo naturale con il quale l’uomo si confronta da secoli cercando all’inizio una convivenza, uno scambio spontaneo fondato sul rispetto dei cicli stagionali e poi via via nel tentativo di imbrigliarlo nelle sue appropriazioni, fossero esse di sottrazione di terreno fertile alle sue acque o di rialzo dei suoi livelli per aumentare la pesca. Insomma un contenitore di straordinaria bellezza dalla complicata regimazione, data al suo interno la presenza di molte variabili non ultima quella dell’uomo, ognuna delle quali in grado di alterare in modo anche permanente l’equilibrio dell’intero sistema.
Le cause che concorrono alla storia di un luogo non sono mai singole e quasi sempre intrecciano vicende salienti con fattori secondari. Nel caso del Padule di Fucecchio risultano evidenti 4 fattori quali motori della intera vicenda:
1) la conformazione di questa estesa pianura acquifera ( 2000 ettari originari, la più grande oasi interna d’Italia) scarsamente profonda e con poca pendenza di deflusso delle acque, assai ricca sotto il profilo ittico e vegetazionale tanto da attirare da sempre l’attenzione di ceti poveri e dei potenti;
2) il fatto di trovarsi baricentro strategico di un sistema viario in grado di collegare per via terra o di navigazione Pistoia con il Valdarno inferiore nonché attraverso l’Arno, Pisa con Firenze;
3) il fatto che le diverse utilizzazioni delle acque del bacino (pesca, navigazione e agricoltura) divergenti fra gli interessi delle terre di monte e quelle di valle, provocarono discussioni e conflitti anche seri per ogni fase della loro regimazione;
4) la presenza di Firenze e della famiglia Medici che appropriandosi delle terre e delle acque del Padule attraverso le figure di Madonna Alfonsina Orsini, vedova di Piero dei Medici, di Cosimo I e di Pietro Leopoldo di Lorena, tradussero la gestione e lo sfruttamento delle stesse in un’opera di modellazione dell’economia e del paesaggio naturale dell’intero bacino.
Sebbene scarseggino le notizie e le documentazioni cartografiche che ci consentano una visione rappresentativa dell’area nel periodo medievale, è certa una consistente presenza di piccole comunità se non sulle sponde lacustri, almeno nella cintura collinare. Ciò anche prima dell’anno Mille, attratte queste popolazioni dalla possibilità di recuperare risorse a cielo aperto, quali la pesca e i prodotti derivati dalla coltivazione dei campi, oltre che dalla possibilità di utilizzare la forza delle acque quale energia motrice per azionare i mulini nonché dalla disponibilità di legname per scaldarsi e per costruire proveniente dalle Cerbaie. In tali circostanze le attenzioni dei potentati feudali ( Signoria dei Cadolingi) e i processi d’incastellamento a difesa delle proprietà e dell’attacco degli avversari, è conseguenziale. I primi interventi di bonifica per colmate documentati ci rimandano al XII secolo (anno 1181, Malvolti), fenomeno accompagnato ad una ripresa economica e demografica dell’area. Si segnalano già da questi inizi, possibili rivalse fra le comunità presenti, per l’impedita navigazione lungo i canali, ingombrati dai manufatti destinati alla pesca.
Fino metà del XIII secolo la Val di Nievole e il Valdarno si trovano sotto il controllo della Repubblica di Lucca. Le testimonianze riferiscono, in questo periodo, di inondazioni e impadulamenti frequenti, al punto che nel 1279 Lucca ordina la rimozione di ogni manufatto lungo l’Usciana (Gusciana) vuoi per migliorare il deflusso delle acque, vuoi per rendere libera la navigazione. In un tempo in cui quest’ultima assume il rilievo della via di comunicazione principale, (è facile supporre la difficoltà di transito per le vie di terra, soprattutto per le interruzioni invernali) nel 1288 la comunità di Fucecchio è costretta a recepire l’ordine di sedare i contrasti fra le comunità a valle e quelle di monte, a causa degli opposti interessi nelle colture delle due comunità: le prime rivolte ad erigere manufatti, argini, calle, pescaie, siepi ed altri sbarramenti per migliorare la pesca, le seconde, costrette con faticose bonifiche a strappare alle acque le terre da coltivare.
All’inizio del XIV secolo, la comunità di Fucecchio con bandi e ordinamenti rigorosi, regola l’attività di pesca imponendo a chi la esercita di munirsi di licenza e organizzarsi in corporazione, oltre a poter esercitare l’attività solo dietro pagamento di una gabella e vendendo il pesce in luoghi ed a orari specifici. Oltre a dover fornire un quantitativo minimo di pesca giornaliera.
Tra il 1330 e il 1350 il controllo della valle passa al comune fiorentino. Firenze ha quasi sempre privilegiato l’attività della pesca rispetto alle coltivazioni agricole, per il fatto evidente dell’approvvigionamento ittico dei suoi mercati. In virtù di ciò molti edifici dentro il Padule vennero ricostruiti, anche se poi abbattuti nel 1389. Ma è solo nel 1370 che Firenze riconosce alle comunità locali, a vario titolo, i terreni della Val di Nievole.
All’interno di questa situazione predisposta alla conflittualità dalla alterna regimazione delle acque, fino al 1429 gli edifici furono abbattuti e ricostruiti ben 4 volte, dato che ogni cambio di livello idrico arrecava danno a una parte. Non mancarono gli scontri armati tra la comunità di Fucecchio e quella di Santa Croce che nel 1343 se le dettero di santa ragione, per i soliti allagamenti procurati a monte dal deflusso del bacino. Ma c’è pure una spedizione della Val di Nievole nei confronti del Valdarno nel 1412 che li vide rientrare vittoriosi con le catene delle chiuse. E’ un periodo difficile, di lotte fra Lucca e Firenze, e questo produce una depressione demografica conseguita anche alla epidemia di metà del Trecento con conseguente abbandono del territorio e un movimento della popolazione verso le città murate.
Nel 1436 la Signoria di Firenze decide di trasformare il Padule in lago (Lago Nuovo) operazione che si conclude nel 1441 con la realizzazione della pescaia murata a Ponte a Cappiano, oltre un argine lungo 1 miglio sul lato sinistro della Usciana, a salvaguardia dello straripamento dell’Arno. I lavori comprendevano un porte fortificato con pescaia e calle, un mulino e una sega ad acqua per sfruttare anche il taglio dell’abbondante legname delle Cerbaie. L’operazione venne gestita da 5 Ufficiali ed impose ai pescatori un giro di vite, con divieto di esercizio da maggio a settembre. Non è difficile immaginare lo stato di ribellione delle popolazioni che videro ulteriormente stravolto e aggravato lo stato di sopravvivenza precedente. Il rialzo idrico raggiunse il livello di 20 metri sul livello del mare, allagando a monte vari terreni prima coltivati. Alle proteste anche violente delle popolazioni, si rispose con alterni abbassamenti e rialzamenti della pescaia di Cappiano.
Dal 1436 al 1550 la pescaia si abbassò e si alzò per ben 5 volte, e viste le dimensioni del bacino
(i disegni di Leonardo del 5 Agosto 1473 GDS, Uffizi e Studi Idrografici, RLW 12277, illustrano cartograficamente i confini) è facile desumere le ripercussioni ambientali. Il disegno dei Medici è chiaro fin dalla prima mossa del Lago Nuovo: consolidare il proprio predominio sull’intera area, creare una barriera di confine solida nei confronti di Lucca, utilizzare la risorsa idrica per alimentare il mercato del pesce del contado in linea monopolistica, impadronirsi di tutti i territori che compongono la valle.
A parte il mercato del pesce, tra l’altro peggiorato nella qualità per le acque ferme, considerate i mancati risultati sul piano ambientale e relazionale con le popolazioni, i 17 Riformatori del Comune considerati tutti i disagi che l’operazione era andata a causare, dichiarano il 17 settembre 1515 il fallimento dell’operazione Lago Nuovo e ordinano la rimozione degli sbarramenti di Ponte a Cappiano. L’operazione nascondeva però, come dicevamo, un fine sottile, dato che una volta emersi i terreni dall’abbassamento delle acque, ne venne dichiarata la vendita che, per ovvi motivi, finiva per poter essere esercitata dalla stessa famiglia, in quanto risultava evidentemente impossibile ai contadini della Val di Nievole poter accedere all’acquisto degli stessi.
Dunque, nel 1515 Alfonsina Orsini vedova di Piero e cognata di Leone X, ottenne che gli venisse concesso l’affitto per 5 anni delle Calle di Cappiano e con esso il decadimento di tutti i vincoli applicati in precedenza. L’impegno in controparte era di fornire a Firenze 15 mila libbre di anguille all’anno, oltre 50 mila libbre di lucci e tinche. I terreni emersi sarebbero toccati per ¾ alla Orsini e per ¼ a Fucecchio che però non li vide mai negli elenchi delle sue proprietà. Il tutto si consumò in un’aggiudicazione d’asta per 2400 fiorini.
Tra il 1519 e il 1521 morirono Alfonsina, il figlio Francesco e il papa Leone X e nel 1527 a Firenze tornarono i repubblicani per un breve intervallo temporale. Con l’assenza dei Medici dal potere, il lago si trovò in stato di abbandono e le sue acque ferme si contaminarono producendo la malaria con gravi disagi per la popolazione. Ritornati sulla scena i Medici con Cosimo I, questi volle imporre un nuovo assetto al Ponte di Cappiano e al Padule, letto intanto come chiara definizione del confine nei Il progetto venne affidato nel 1549 a Luca Martini prima e a Davide Fortini dopo (1551)con il compito di ristrutturare la costruzione precedente, che venne rinforzata con due torri, coperta in una parte, aperta con nuove calle, aggiungendovi un mulino, una pescaia, un argine, un’osteria, una ferriera, una casa per il Ministro e Provveditore alla pesca, oltre la casa del Pescatore e i vivai per le anguille. Questa situazione fisica, senza grandi mutamenti, si protrasse fino all’arrivo dei Lorena. Nel frattempo si accompagnarono episodi epidemici, decessi tra la popolazione, incrementi e decrementi demografici, senza che la realtà abbia definito un proprio equilibrio. Nel 1569 Cosimo I muore e i figli Francesco I e Ferdinando I per consolidare il disegno del padre, organizzano il territorio del bacino assegnandolo a sette fattorie granducali. Si tratta di costruzioni e di ville, organizzate dalle Regie Possessioni. In elenco, in senso antiorario, Le Calle di Cappiano, Stabbia, Castelmartini, Montevettolini, Terzo, Bellavista, Altopascio. Il processo di organizzazione economica e territoriale incluse anche la caccia, non più bene libero per le comunità, ma riserva esclusiva del signore. Nel 1572 si avviarono le operazioni per la terminazione del lago, operazioni che si concludono nel 1584 con l’escavazione del Fossetto. Manca in tutto questo una visione unitaria del progetto, che porterà ancora una volta alla sola sola soddisfazione degli interessi della famiglia granducale.
Nel 1624 venne applicata la Legge Divieto, all’interno di un processo che vede al calo della navigazione, carattere non secondario tra le risorse del Padule ( si consideri che fino alla metà del 1700 il callone centrale di Cappiano era attraversato da 300–500 navicelli all’anno). Si alternano le tesi tra Cesare Frullani e Vincenzo Viviani, tra la necessità di alzare il livello delle acque a vantaggio della pesca e della salubrità dell’aria, di usare il fondo delle acque come terreni da coltivare. E sembra prevalere questa linea se nel 1670 all’ingegner Ciaccheri viene affidato l’incarico di realizzare un argine sinistro sulla Usciana, dato che ogni rialzo alluvionale dell’Arno creava serie ripercussioni all’interno del bacino e nel 1694 a far esplodere il caso delle colmate di Bellavista, quando il marchese Francesco Feroni proprietario della fattoria, a seguito della alluvione dei suoi terreni conseguente alle colmate attuate dalle due fattorie confinanti, Altopascio e Terzo, con la deviazione delle confluenze dei fiumi Nievole e Pescia, protesta con lo Scrittoio delle Regie Possessioni. Ne scaturisce una importante causa durata non pochi anni, che vede nel 1726, l’intervento del medico Giovanni Targioni Tozzetti, che si trova costretto a contraddire i suoi clienti granducali, portandoli di fatto a riconoscere il danno subito dal marchese e a far ricondurre i due fiumi nell’alveo originario, mantenendoli in tale sede per i futuri 100 anni. Nel 1747 venne dato incarico a Tommaso Perelli, illustre matematico di Fucecchio, oltre a Falleri e Mascagni, di elaborare un progetto per aprire un canale parallelo sulla riva sinistra dell’Usciana detto antifosso. Opera condotta tra 1748 e il 1753 e portata a termine da Pietro ferroni nel 1774.
Il fosso era lungo 14,5 km, e aveva lo scopo di convogliare le acque di scarico di mont e aiutare lo scolmo delle acque del lago. Nel 1756 l’area viene investita da una epidemia malarica che causa 566 morti. La responsabilità vine attribuita alle colmate di Bellavista, e questo apre una grande seria discussione circa la utilità del Padule (quale fonte di malattie) a fronte dei vantaggi che potrebbero derivare della sua utilizzazione a campi coltivati.
Il 16 ottobre del 1772 avviene la prima visita di Pietro Leopoldo sull’area con la decisione, questa volta, di imporre un intervento dall’alto, considerato che i diversi interventi praticati in modo sporadico e utilitaristico dalle singole proprietà finivano, oltre a non risolvere il problema generale per la regimazione della pianura idrica, per causare in modo continuo danni alla pesca, all’agricoltura, con l’aggravante della salute delle persone. Pietro Leopoldo decise dunque, di avviare opere di bonifica e viabilità radicali che investirono la rete dei canali, ampliata e rettificata, in modo da renderla navigabile almeno per 10 mesi all’anno, e renderla raggiungibile attraverso il suo sviluppo il collegamento tra Livorno e il porto delle Morette e del Capannone e da lì, Serravalle e Pistoia. Nel disegno s’intravede la volontà di liberare la iniziativa privata, accompagnandola con le infrastrutture che favorissero il suo sviluppo. Ciò in modo che sul territorio si parcellizzasse la proprietà e conseguentemente l’equilibrio gestionale. Incaricò di questo importante progetto Pietro Ferroni, con l’obbiettivo che si raggiungesse finalmente la salvaguardia idrogeologica, quella della idrovia e quella della pesca. E’ su questa base che il 4 settembre 1780 venne emanato l’editto teso alla liberalizzazione dell’iniziativa privata. Il tutto contrappuntato dal divieto di costruire qualunque manufatto che impedisse la navigazione e lo scorrimento delle acque, di rispettare i confini della proprietà privata e, fatto più eclatante, della demolizione presso il ponte di Cappiano, del mulino, delle calle minori e della pescaia, oltre la rimuovere la pesca privata delle anguille.
Si avviarono una serie di opere, nel quando di un disegno generale, che significarono fra il 1782 -1784 la messa in sicurezza del rio Salsero proveniente da Montecatini. Vennero ricavati il canale Maestro e del Terzo, oltre quello del Capannone. Venne ricavata l’Usciana, di modo che con tali operazioni l’area umida che nel 1772 era di 32 km quadrati, si riduce a 24. Nello stesso ambito si allivellarono le fattorie di proprietà con l’intento di incentivare una diffusa iniziativa privata puntando su nuova domanda di lavoro. Quella del livellamento delle fattorie non produsse le prospettive sperate e gli unici risultati utili, restarono ancora all’interno dei beneficiari livellanti.
Sulla base di questa operazione fallita, il 4 aprile 1786 nasce la Deputazione del Padule di Fucecchio quale ente consortile pubblico – privato, finalizzato alla manutenzione e sorveglianza dello stesso. Nel 1788 l’ingegner Bombicci venne incaricato di redigere il catasto delle proprietà. Con il timore che una revisione delle rendite si traducesse per gli stessi proprietari in un aggravio dei tributi a loro carico. Questo clima reinnescò un ulteriore dibattito circa il migliore utilizzo della pianura lacustre. Valutare, cioè, se fosse preferibile utilizzarle come campi coltivati, anziché mantenerle allo stato naturale con tutte le conseguenze e gli impegni di una manutenzione che ne garantisse la salubrità delle acque attraverso una loro naturale regimazione. In questo permanente dibattito non vennero mai prese decisioni funzionali al sistema e fu un susseguirsi di proposte progettuali, nessuna delle quali veramente efficace e di possibile adozione, vuoi perché applicata solo parzialmente in quanto troppo onerosa, vuoi perché non era valida progettualmente.
Nel 1795 vennero proposte le le cateratte alle calle di Cappiano. Nel 1826, Leopoldo II, incaricò l’ingegnere Luigi Kindt di un nuovo sistema di cateratte. Nel 1830 – 1836 l’ennesima esondazione della Usciana verso l’interno convinse le diverse proprietà a propendere per la bonifica del Padule. Tra il 1860 e il 1864 si avanza l’ennesimo proposta (Zambra) di prosciugamento (per fortuna non realizzato) a causa della cifra esorbitante ma anche per la sua inefficacia. Nel 1898 segue un altro progetto di Giovanni Clive. E a questo, nel 1900 quello di Mazzucchi e Villani, anch’esso bocciato. Nel 1904, arriva il progetto del Genio Civile di Firenze, anche questo non andato in porto, in quanto non ritenuta idonea soluzione al problema, oltre che costoso per la sua applicazione. Nel 1910 anche il progetto dell’ingegner Costagli venne bocciato fin quando nel 1916 venne riproposto un nuovo progetto del Genio Civile di Firenze, questa volta approvato in quanto si basava sulla proposta opposta di quello del 1904, cioè sull’accantonamento dell’idea di bonifica totale. Così nel 1920 vennero realizzate le cateratte questa volte spostate alla bocca della Usciana e comandate elettricamente. Nel frattempo partiva la campagna delle bonifiche fasciste alle paludi, che spinse naturalmente per la bonifica totale dell’area, classificandola nel 1923 di prima categoria. Nel decennio dal 1920 al 1930 si ampliò l’Usciana da Ponte a Cappiano all’Arno, si creò un nuovo canale di bonifica da Cappiano alla confluenza di Terzo e Capannone, vennero costruiti tre nuovi ponti interni (Telanova, Cavallaia e Marobotti). Nel 1931 dopo lo scioglimento del vecchio Consorzio di Bonifica, fu istituito un Nuovo Consorzio con il compito di migliorare le condizioni di deflusso delle acque e pianificare gli interventi di salvaguardia e di bonifica. Con queste operazioni si attraversò il periodo della guerra, che propose al territorio il tristissimo ricordo dell’eccidio del Padule. L’eccidio si consumò il 23 Agosto del 1944 e rappresenta una delle più efferate stragi operate dai nazisti. Furono trucidate 174 persone innocenti per comando del Generale Crasemann. Nell’eccidio persero la vita 62 donne di cui 25 oltre i sessanta anni, 16 sotto i diciotto, 10 sotto i dieci, 8 sotto i due. La famiglia Malucchi di Cintolese perse 12 membri di cui tre bambine con meno di otto anni, di nome Norma, Maria, Franca.
Dalla necessità della ricostruzione del dopoguerra riparte il ripopolamento delle rive del bacino con il recupero, per quanto possibile, delle coltivazioni agricole, fonte prima in quelle circostanze difficili di alimentazione per molte famiglie. Seguì nel giro di un decennio l’abbandono della terra contadina e delle attività agricole, collaterali per rivolgere l’attenzione e le energie verso la nascente sfida industriale che cancellerà tutto quanto restava di quel mondo. Non saranno rose per il Padule che diventerà nello sbocciare delle nuove attività artigianali e industriali sulle sue sponde, terreno di scarico di ogni genere di rifiuto inquinante.
Nel 1990 parte delle acque dell’Usciana furono deviate in un nuovo canale e condotte, dopo avere attraversate le Cerbaie, a sud di Montecalvoli, presso lo scolmatore di Pontedera.
L’ultimo fattore che muove l’intera vicenda, è quello ancora da scrivere e riguarda il futuro di questa riserva naturale dopo lo stato di abbandono al quale l’avevano sottoposta la disattenzione pubblica e l’arrembaggio privato degli anni Settanta. Il fatto di avere scambiato questa area umida per una discarica gratuita in grado di portare altrove (fino al mare) i rifiuti industriali, chimici e organici, dove depositare di nascoso i costi del benessere che cresceva sulle sue sponde, racconta di cosa può accadere ad un territorio quando esso viene lasciato preda dell’interesse speculativo. Lo stravolgimento di questo periodo prodotto dall’ingresso dirompente e disordinato nel Paese dell’economia industriale segna anche la fine di un mondo che pure attraverso vari contraccolpi aveva mantenuto nel tempo un rapporto uomo – ambiente basato sull’attenzione, sulla manutenzione e il rispetto. Tutto questo in un brevissimo giro di annate si trasformò in abbandono, perché nuove offerte di prodotti più allettanti insieme a nuove forme di lavoro si impossessarono della scena.
Decisivi e impegnativi interventi di bonifica (depurazione, ricavazione dei canali), accompagnati da un più attento controllo dell’ambiente, hanno evitato dopo più di mille anni che questa prezioso patrimonio naturale venisse distrutto in modo definitivo compreso il suo carico di storia e di vita. Ciò, anche in virtù di una diversa attenzione generale alle disastrose conseguenze derivate all’alterazione dell’eco sistema. Ma la salvezza del Padule non è ancora la sua valorizzazione come risorsa ambientale, dato che, come già concepito da alcuni “esperti”in passato, ciò che non rende economicamente non ha motivo di esistere. Nel tempo nostro, che corre verso il consumo sfrenato di beni inutili, dovremmo prenderci un’ora per sederci vicino alla corrente del canale Maestro e vedergli portare le foglie d’autunno verso l’orizzonte delle canneggiole. Allora capiremmo in cosa risiede il vero valore della natura e di quale debba essere il nostro ruolo nei suoi confronti.. Dobbiamo ringraziare e sostenere il Centro di Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio perché è grazie all’impegno e alla missione di questo gruppo di persone se la speranza che una nuova stagione e un nuovo atteggiamento spinto, oseremmo dire, fino a una profonda revisione del modello produttivo e comportamentale, sta prendendo corpo nella coscienza individuale e collettiva delle persone, soprattutto delle nuove generazioni. Troppe volte ci siamo ripetuti di essere di passaggio con il dovere di consegnare a chi viene dopo di noi, quanto ci è stato dato da chi ci ha preceduto. E questo facendolo nella tutela e nel rispetto delle cose che appartengono a tutti , come l’acqua, la terra, l’aria che respiriamo. I giorni che stiamo attraversando dimostrano che non tutti siamo disposti a rispettare questo impegno, accecati da antichi egoismi e da una mancata visione della unicità del pianeta come bene di tutti. Questo egoismo e questa miopia possono travolgerci e trasformare la terra in un inferno. In attesa di un nuovo ordine che non calerà dall’alto (la Terra non offre pasti gratis) ognuno di noi diventa responsabile nel processo educativo che ci porterà verso l’ordine che saremo capaci di costruire.
Vincenzo Mollica